
Il poeta romano Silvio Mencaroni, ci racconta come ha trasformato la penna nella sua spada personale, un’arma che gli permette di esprimere se stesso, allontanandosi dai pregiudizi e favorendo il suo percorso di emancipazione.
Utilizza parole affilate e delicate; nel leggerle, il passaggio dagli occhi al cuore è immediato, preciso, come la freccia di un tiratore che arriva al bersaglio, e si dipana, creando uno spazio nuovo, pieno di quelle emozioni strettamente connesse ai valori alti della nostra collettività.
È nella poesia che emerge la sua storia di liberazione, di redenzione -come la definirebbe lui – da un passato di scelte sovversive, pericolose, che dalla periferia di Roma l’hanno costretto alla detenzione per tre lunghi anni, e poi al recupero, in una comunità per tossicodipendenti.
El Redento – questo è il suo nome d’arte – è un ragazzo come tanti: occhi e capelli castani, corporatura e altezza media, lineamenti del viso regolari. Quando gli ho telefonato per proporgli l’intervista, ho scoperto una persona appassionata di letteratura, generosa nella conversazione, e con una fiducia ritrovata nel prossimo.
Il suo autore preferito, Charles Bukowski.
Tra i libri che ama ci sono Trilogia sporca dell’Avana di Pedro Juan Gutiérrez e Memorie dalla casa dei morti di Fedor Dostoevskji.
Le sue frasi mantra, sono “Il vero insegnamento è muto”, “L’umiltà si predica in silenzio”, “Non seguire la folla, fai tanto sesso, e prenditi poco sul serio”.
M’abbasta ‘na poesia
‘Na manciata dei tuoi baci
addolcirebbe l’amarezza
dei rimorsi più efficaci.
Dove sei, spensieratezza,
nella gabbia de ‘n amore
de cui nun so’ all’altezza?
Me ricordo sognatore,
ero tutta ‘na protesta
poca testa e tutto cuore.
Se la vita me calpesta,
m’abbasta ‘na poesia
pe’ uscì dalla tempesta.
Dalla città alla vita di periferia
Si narra che nel 312 d.c., nell’omonimo quartiere, ebbe luogo la battaglia di Ponte Milvio, che vide Costantino I divenire imperatore unico d’occidente, nonché primo sovrano cristiano di Roma. Uno scontro, preceduto dalla storica conversione di Costantino I, che durante una visione riconobbe una croce con sopra una scritta: in hoc signo vinces (sotto questo segno vincerai).
Non lontano da quel ponte, in un giorno di primavera dell’anno 1990, Silvio emette i suoi primi vagiti.
Durante i primi anni frequenta la scuola materna e l’oratorio del quartiere, dove gioca a pallone con gli amici. È un bambino buono e vivace, che fin da subito manifesta una profonda irrequietezza: vive con disagio qualsiasi imposizione, non tollera le regole.
“Mi mettevo facilmente nei casini, non accettavo mai un ordine senza replicare, anche quando l’alternativa era non sapere dove andare”.
Nel bel mezzo della scuola primaria, intorno ai sette anni, per motivi familiari si trasferisce in un quartiere periferico al nord di Roma, Prima Porta.
Nel 1912, sotto il pontificato di Pio X, in occasione del centenario della vittoria di Costantino I, venne apposta una lapide con epigrafe in latino su una parete rocciosa all’inizio della via Tiberina (Prima Porta) con la stessa scritta sopra citata, per suggellare la vittoria del cristianesimo sul paganesimo.
In questo piccolo centro residenziale, densamente popolato, e apparentemente tranquillo, si trova presto a scoprire, una realtà vitale piena di frenesie, un luogo che, a poco a poco, va a saziare quelle innumerevoli fantasie di ribellione, da sempre connaturate nella sua persona, che lo porteranno alla completa perdizione.
“La nuova scuola non mi piaceva, non appena arrivai fui coinvolto in un’azzuffata”.
Viene allontanato dalla classe per cattiva condotta, ottiene solo scarso rendimento e note. Emarginazione e disagio sono parole con le quali prende da subito dimestichezza, e con le quali stringerà nel tempo una sorta di legame morboso.
Allo stesso modo, ha la consuetudine di esprimersi tramite la poesia. “Oltre a beffare i regolamenti, avevo l’abitudine di scrivere delle poesiole in un piccolo diario”.
A soli cinque anni inizia a essere sottoposto ai colloqui con gli psicologi.
“I miei genitori non riuscivano a capirmi, ma a me non importava, continuavo a capirmi da solo”.
Cresce giocando in strada, palpando le compagne di scuola e frequentando gli scappati di casa.
“Insieme ci davamo ai piccoli furti, al calcio da marciapiede e a fumare erba. A dodici anni ci sentivamo dei piccoli boss di quartiere, ognuno pronto a sfidare il proprio destino”.
Durante l’adolescenza subisce i primi arresti per furto di motorini e altri reati minori legati allo spaccio.
“È all’età di diciannove anni che feci un vero e proprio salto nel vuoto. Mi arrestarono per aver trasportato un chilo di cocaina nella cavità addominale dalla Costa Rica fino a mamma Roma. Venni condannato a quattro anni di carcere. Volevo espandermi e mi sono autodistrutto”.
Per l’inflessibile Silvio quello fu davvero un colpo basso: niente più ragazze, niente più amici, niente più famiglia: niente libertà.
I vecchi miei, pensierosi e stanchi,
ancora s’addormono abbracciati,
distesi, s’accarezzano pe’ i fianchi.
Alle vorte se chiedono spaesati,
co’ le mani fra i capelli bianchi,
se de sta vita che so’ sudati
siano passati anni o pochi istanti,
se ne siano disillusi o innamorati.
Nun ce so’ mai stato tanto svejo
ma armeno ‘na cosa l’ho imparata:
un amore puro ce protende ar “mejo”
pe’ ‘na vita che non sempre è profumata.
La comunità
Uscito dal carcere in misura alternativa dopo tre anni, entra in una comunità per tossicodipendenti.
“Lì c’era una simpatica usanza quando ricorrevano i compleanni o i fine programma di ciascuno di noi: ci si riuniva in sala hobby, e si scriveva una poesia in dialetto romano, per il festeggiato. Spesso, la cosa degenerava in goliardiche prese in giro, la si buttava in caciara; a modo nostro ci si divertiva. Provate a immaginare un gruppo di tossicomani e delinquenti, impegnati dalla nascita nella fuga dai sentimenti, tutti insieme a cercare di dare emotività a una filastrocca per un compagno. C’era da ridere, ve l’assicuro”.
Tuttavia, in quel piccolo mondo protetto, non sempre si ride quando i sentimenti vengono a galla davvero: avviene un incontro d’anime senza precedenti e pregiudizi, supervisori, o controlli. In momenti come questi, gli sbirri e la paura, non possono fare irruzione.
Ma quando gli chiedono di partecipare, lui rifiuta. È scontroso e insolente, difficilmente comunica con qualcuno. È il più piccolo, ma anche il più testardo.
Solo quando gli si avvicinano due ragazzi che ritiene in gamba (“Sembravano due autentici figli di una buona donna, ci intendevamo”), accetta l’invito a scrivere, a condizione però di poterlo fare in disparte, lontano da commenti e risate indiscrete.
A lavoro terminato, legge a tutti ciò che ha scritto sul foglio: “Rimasi completamente sorpreso dalle loro reazioni; tanti mi fecero i complimenti, qualcuno aveva gli occhi lucidi, nascosti dalla maschera della strada, ma io li vedevo, li sentivo, eccome se li sentivo”.
I compagni lo esortano ogni giorno a proseguire con la scrittura per espandere la sua poetica. Per diffondere la sua voce. La loro voce.
Hanno rifiutato la società, le regole, e ora sono lì, nella stessa stanza, a condividere poesie per aggrapparsi alla vita.
Il carcere e la libertà
“Non ho ancora capito qual è il luogo di maggiore prigionia, se lì dentro, o qui fuori”.
Definisce la libertà come una sorta di discorso interiore, un sentimento che si prova in solitudine, un fuoco che divampa ogni qual volta si tenta di reprimerlo. Un sogno ricercato da molti, ma realizzato da pochi, un bene supremo, un po’ come l’amore.
Quando mette piede fuori dal carcere, il suo sguardo sul mondo è completamente cambiato.
“Posso solo dire che prima di quell’esperienza avevo gli occhi di un’innocente. Ora che la spontaneità ha perduto brillantezza, sono più forte e piango meno. Ho perso molti sorrisi, ma non tutti, ho capito che la libertà è un’utopia, che forse l’amore è l’unica via. Ho imparato a mandare in frantumi e poi a ricostruire, ma anche che nessuno ti ama più della tua famiglia”.
Un ricordo felice
tiettelo stretto,
che nun lo sai mai
quer che t’aspetta.
Un bacio, ‘n abbraccio
nun dallo de fretta,
dai tutto te stesso
in un gesto d’affetto!
Gli incontri significativi
Ci sono due persone che non dimenticherà mai, entrambe gli hanno salvato la vita; una in carcere, l’altra fuori.
“Grazie a Enzo ho imparato a non fidarmi di nessuno tra i penitenti che vivono lo stesso inferno, a guardarmi le spalle, a parlare nei tempi e nei modi giusti, a difendermi nel gioco d’azzardo, a sgamare gli infami, a cucinare alcuni piatti, ma soprattutto a ridere in mezzo alla merda. A resistere”.
L’incontro con Antonio, invece, avviene fuori. È il suo primo operatore di comunità.
“Mi ha insegnato che tutte le cose che ho imparato da Enzo sono importanti, ma che se ti lasci da solo troppo a lungo non ti istruisci, se non ti apri alla vita non curi l’anima, se non impari a fidarti quelle cose non contano niente. Antonio resta un mio punto di riferimento nella vita, anche se un cancro al fegato l’ha messo k.o.”.
Il silenzio
“Il silenzio è più prezioso dell’oro”.
Ha come luogo preferito la notte, Silvio. Riflette bene solo al buio, in silenzio, in compagnia dei suoi affezionati fantasmi, è questo l’habitat ideale per la stesura delle sue poesie.
“Anche il sesso è fonte d’ispirazione, perché ci metto sempre un po’ d’amore. Con l’alcool poi è meglio”.
Nel silenzio la sua attività introspettiva è febbrile e intensa.
“In isolamento ho sentito il silenzio parlare ai comodini, al pavimento, al bagno, alle sbarre, perfino alle nuvole. La mia anima è sempre stata in tumulto contro l’egemonia del silenzio, uno scontro violento e tacito”.
Fuori casa predilige le stazioni ferroviarie, nelle quali si mette a sedere, davanti al tabellone degli arrivi e delle partenze, lasciando così vagare i ricordi.
Se amore
Se è amore e non un gioco,
sarà abbastanza forte
da abbatter muri e porte,
pensa un coprifuoco!
Se è amore e non un vuoto
da colmare ad ogni costo,
scuote tutto, è un terremoto,
apro il cuore, faccio posto!
Se è amore assumo l’alto
rischio d’esser sorpassato,
trovarmi un vuoto accanto
e morir precipitato…
La poesia
Silvio si definisce un romantico, sia per caratteristiche personali che per le tematiche trattate.
Scrive di redenzione (sempre in corso), di amore, speranza, uguaglianza, isolamento, faccende di strada, galera e, immancabilmente, della sua bella Roma.
“La poesia è un vettore tramite il quale riesco a sentire la vicinanza delle persone e il calore di chi mi vuole bene, pur non conoscendomi di persona.
Ravviva gli spiriti ammalati, spenti, delusi, all’angolo. Percepisco chi apprezza la poesia come un amico, un compagno di sventura, che spesso porta il senso della vita. Per me c’è sempre stata, mi ha rinfrescato nel caldo infernale, e da quando ero ragazzino, non mi cambia, anzi, mi permette di sentire gli altri e di esprimere me stesso”.
La penna come una spada
Nel 2018, viene pubblicata la sua prima raccolta di poesie.
“Ho scritto La penna come una spada per difendermi dagli assalti vili di un passato insidioso, per difendere i miei sogni e i miei valori.
Con l’inchiostro puoi dire qualsiasi cosa, anche arrivare a uccidere, senza ricevere alcuna condanna per omicidio”.
Per la presentazione, sceglie una libreria gestita da amici, non a caso, vicino al luogo del suo primo arresto.
“Quel giorno, ero talmente emozionato che dimenticai qualsiasi cosa si potesse dimenticare, il microfono aveva le sembianze di un grosso pene che volevo a tutti i costi allontanare dalla bocca, quasi non riuscivo a interpretare le mie poesie”.
La sua famiglia gli è vicino e, allo stesso modo, tante altre persone che lo circondano di affetto e stima.
Silvio, quella sera, chiude definitivamente i conti con una certa vita.
“I bei ricordi sono pochi, è necessario imprimerli nella memoria per poterli sfogliare ogni volta che ti senti un fallito e vorresti farla finita”.
Nel 2014, Jorge Mario Bergoglio, noto a tutti come Papa Francesco, nell’oratorio di Prima Porta, invitato dal parroco del quartiere, gli conferisce, tra la folla, la propria benedizione e, ponendogli una mano sulla testa, pronuncia le parole: “El redento”.
“Decisi di adottarlo come pseudonimo, mi piaceva, benedizione o meno, papa o non papa”.
Ebbene, non sempre è necessario entrare nel fantastico mondo delle fiabe per narrare una storia con lieto fine. In hoc signo vinces (sotto questo segno vincerai).
L’amore tradito, fallito,
deluso o sprovveduto
è meritevole – te dico –
de essere vissuto!Ma se riarzi er viso
dopo esse’ caduto
smorzerei quer ghigno
de chi nun t’ha voluto.
Mo’ sei forte, pronto pe’ chi resta!
Pe’ concede a chi je spetta
ciò che in te sta chiuso a chiave.
e ricorda a chi vanterà una nave:
che tu, solo sulla tua barchetta,
hai trafitto ogni tempesta.
Oggi
Silvio è lontano da quei posti che lo distraggono da sé stesso. Odia i concerti, le riunioni, le code, le discoteche, l’omologazione e la mancanza di originalità.
Trascorre le giornate a studiare, ha ripreso a dedicarsi alle scienze umane, alla metrica in poesia e alla prosa, a scrivere, a leggere, ad ascoltare musica, a praticare allenamento fisico e naturalmente a bere whisky con le sue amate amiche lesbiche.
“La vita è un periodo di tempo a perdere, tanto vale passarlo a realizzare utopie, a tentare di lasciare la propria impronta, la propria firma”.