Foto di Alfred Eisenstaedt, maggio 1953
“Phantasma” e “Farfalla“. Sono queste le due parole che abbiamo scelto, qui a Judith, per raccontavi una Marilyn Monroe diversa, o meglio per raccontarvi Norma Jane. Non siamo impazzite, tranquilli, tra un attimo sarà tutto più chiaro.
Prima di tutto un pizzico di immaginazione: siamo in America, nei primi anni cinquanta. La guerra è finita da poco e a Hollywood è tempo di grandi nomi: James Dean, Grace Kelly, Marlon Brando, Sophia Loren. Dimentichiamo forse qualcuno? No, perché in questo nostro mondo immaginario Marilyn Monroe non c’è, non è mai diventata la musa di Andy Warhol e nemmeno la bionda che gli uomini preferiscono.

Norma Jane è solo Norma Jane: può essere chi vuole, ma soprattutto può dare libero sfogo a ciò che sente.
Ma iniziamo con la prima parola.
Phantasma
In questo mondo immaginario Norma Jane non è bionda, ha mantenuto il suo colore naturale e noi ce la immaginiamo con il naso affondato in un libro, magari a scuola o al college. Non si è sposata a sedici anni e di Hollywood legge ogni tanto sulle riviste.
Va bene, forse gli anni del boom senza Marilyn Monroe non sono credibili; proviamo allora almeno a vederla come lei stessa si vedeva allo specchio, cercando una dimensione altra rispetto alle due gocce di Chanel con cui aveva raccontato di andare a dormire.
È così che arriviamo alla nostra prima parola: “Phantasma“.
Non facciamoci ingannare però dal significato che automaticamente affidiamo a questo termine. Prima che i latini coniassero la parola Imago, i Greci antichi erano soliti usare al suo posto proprio Phantasma. Certo, anche in questo caso si faceva riferimento al concetto di immagine, ma il significato che essa assumeva era radicalmente diverso: non si pensava infatti a ciò che il nostro corpo mostrava, quanto più a come questo venisse visto da noi stessi, dal nostro pensiero. In un certo senso la nostra coscienza, il nostro Io, come direbbe Freud, o meglio la nostra anima.
Perché tutto questo immenso volo pindarico, ma soprattutto perché fare riferimento a Marilyn Monroe?
Ecco, perché la star di Hollywood è l’emblema di quanto questi due modi di vedersi e essere visti possano solo coincidere a fatica, in questo caso non coincidere affatto.
Come sarebbe stata la storia se Marilyn, invece della bellezza, avesse avuto un aspetto ordinario?
Vita-
Ho in me entrambe le tue direzioni
Restando come appesa all’ingiù
Più spesso
Ma forte come la tela di un ragno al
Vento – esisto di più nella fredda brina scintillante.
Ma i miei raggi perlati hanno i colori che ho
Visto in un quadro – ah vita ti hanno
Imbrogliata
A domandarcelo non ci siamo solo noi, c’è prima di tutti lei stessa: Norma Jane, così la chiameremo per distinguerla dalla figura che tutti crediamo di conoscere. Lontana dai flash l’artista riversa nel suo diario, o in frammenti di carta che trova negli alberghi in cui pernotta durante le riprese, tutto ciò che forse nessuno ha voglia o tempo di ascoltare: in fondo non è questo che il mondo vuole da lei.
Versi, riflessioni, pensieri sconnessi. Ha l’istinto e i riflessi del poeta, ma non sa disciplinarli, dice Norman Rosten, scrittore newyorkese.
Ma la disciplina non presuppone forse il sapersi dare dei contorni? Il tracciamento di confini? Come può farlo Norma Jane? Come, se ciò vorrebbe dire essere in grado di far convivere Phantasma e Imago?

“I guess I’m a fantasy”, dice Marilyn nel 1959, lo riporta Donald Spoto nella sua biografia. Ma come fare per unire la sua percezione a quella che tutti hanno di lei?
Norma Jane legge Joyce, Beckett, Flaubert, Hemingway e Steinbeck. La letteratura la appassiona, la poesia la incuriosisce. Tra le parole cerca forse di riempirsi di qualcosa che sente mancare in lei, tenta di sopire quel senso di colpevolezza che la assale ogni volta che arriva sul set. La paura costante di essere un contenitore vuoto la perseguita anche nei sogni, tanto che arriva a imprimerla su carta:
-Mi aprono- Strasberg con l’assistenza della Hohenberg
e non trovano assolutamente nulla […] è uscita soltanto
segatura così sottile – come
da una bambola di pezza – e la segatura si sparge
su tutto il pavimento e il tavolo.
Eccolo lì, ancora una volta il Phantasma. Il vuoto tra la Marilyn avvenente e acclamata da uomini e donne e quella vera, sola davanti allo specchio.
Farfalla
Per la seconda parola occorre fare un passo avanti, nella nostra lettura e nel tempo.
Antonio Tabucchi realizza la prefazione di “Fragments“, libro che contiene i versi e gli scritti di Norma Jane. Cercando di dare un senso alla figura dell’attrice lo scrittore fa riferimento ad Aby Warburg, celebre critico d’arte del Rinascimento italiano.

Lo studioso, interrogandosi, come tanti prima di lui, sull’interpretazione della “Primavera” del Botticelli si persuade che l’opera non sia la sola rappresentazione della gaiezza delle feste di palazzo o della felicità dei sensi; facendo un percorso a ritroso nella filosofia e nella storia arriva fino a Platone e realizza che quella bellissima ragazza che vediamo al centro del dipinto non può essere una semplice fiorentina, bensì una ninfa, un essere semi-divino, dotato di ali, proprio come le farfalle.
Secondo gli antichi inoltre le Ninfe appartenevano alle Baccanti, ed erano insieme morte e bellezza.
Morte e bellezza però non si possono toccare con mano, fanno parte di una dimensione inafferrabile, propria solo del Mito, sia esso antico o contemporaneo.
Marilyn Monroe sa di esserlo, un mito, ma se ne domanda il motivo, ricerca in maniera costante una quiete interiore che la telecamera non riesce a darle.
Abbiamo parlato poco fa di coscienza, di anima; ecco, così come ci spiega Tabucchi, a sua volta citando Lessing, la farfalla rappresenta per gli antichi l’immagine stessa dell’anima, in particolare il momento in cui questa si stacca dal mondo.
Ora non è forse più chiaro il collegamento tra Marilyn, Norma Jane e la farfalla?
Il mondo non lo immagina, ma il corpo dell’attrice che vede sulle riviste e sugli schermi non è altro che una maschera, un bruco: mostrarlo non la porta a svelare se stessa, ma all’esatto contrario.
E quella polvere, che per natura sta sulle ali delle farfalle, si sposta lentamente verso l’interno, si trasforma in segatura vuota: tutti lo vedono, tutti lo sanno, dentro di lei non c’è nulla.
Devi soffrire – per perdere il tuo oro scuro quando lo strato di foglie morte che ti ricopre uniforme ti abbandona
Forte e nuda devi essere – viva – quando guardi la morte dritta negli occhi anche se sei piegata dal vento
E sopportare la gioia e il dolore del nuovo sulle tue membra
Solitudine – sii quieta.
Sii quieta, solitudine, non farti vedere, scrive Norma Jane.
In una realtà che la volle seriale, immobile nel celebre ritratto di Warhol, noi ci chiediamo come sarebbe stata la vita di Marilyn se il mondo avesse accettato anche solo un po’ della Norma Jane, della sua passione per le parole, per la letteratura. Immaginiamo di poter leggere le sue poesie, i suoi libri, senza fermarci solamente alle pellicole.
Se oltre ad essere vista Marilyn fosse anche stata ascoltata, forse saremo in grado di vederlo, il suo phantasma, magari riuscendo anche a liberare quella farfalla che la società ha relegato, per semplificazione, in gabbia.