Ci sono scrittori che hanno pubblicato un solo romanzo in tutta la loro vita: Emily Brontë per esempio, dopo il suo esordio clamoroso con Cime Tempestose, si è ammalata di tubercolosi e non ha potuto proseguire con la scrittura di un nuovo romanzo. Anche Margaret Mitchell non ha dato un seguito al suo famosissimo Via col vento, e così Boris Pasternak con il suo Il dottor Zivago e Sylvia Plath con La campana di vetro.
Romanzi unici di autori unici.
C’è invece chi di romanzi ne ha scritti tantissimi, così tanti da aver scelto ad un certo punto della propria carriera, una storia “d’elezione”, da portare avanti per anni, da far vivere ai propri lettori in modo così vicino e autentico, da farla diventare famigliare. È il caso di Andrea Camilleri e del suo amatissimo commissario Montalbano o di Gianrico Carofiglio che, con l’avvocato Guerrieri, ha tratteggiato i contorni di un personaggio nostalgico e controverso, con cui è impossibile non empatizzare.
Non solo romanzi, però!
Quando parliamo di storie raccontate in serie, non è possibile non pensare subito ad una forma artistica che unisce insieme due gesti creativi: il disegno e la scrittura. Stiamo parlando dei fumetti!
Per questo motivo abbiamo intervistato Leo Ortolani, fumettista della celebre serie Rat-Man, della graphic novel Cinzia, di numerose parodie-fumetto e di un albo a fumetti sull’esplorazione spaziale, intitolato C’è spazio per tutti.

Ciao Leo! Spiegaci un pò: com’è iniziato tutto? Come hai incominciato a fare fumetti?
Ho iniziato che avevo veramente pochissimi anni. A 4 anni ho realizzato la mia prima protostoria a fumetti, ho preso un foglio, l’ho diviso in vignette, ci ho messo Paperino e Paperone che attraversano un mare pieno di mostri, fine. Non un grande intreccio narrativo, ma da quel primo passo, a forza di camminare, sono arrivato a CINZIA, per dire.
Sappiamo che tua figlia ha coniato un nuovo termine per definire il tuo mestiere, il “fumettiere”. Ecco, qual è la parte del mestiere di “fumettiere” che ti appassiona di più?
Scrivere la storia. Decisamente. E’ cercare di scoprire qualcosa che non esiste, se non in un mondo che raggiungiamo solo con la fantasia.

Rat-Man ha compiuto 30 anni: cosa spinge un autore a restare per così tanto tempo su un personaggio?
Sono tanti, i motivi. Prima di tutto, quello editoriale. Una volta pubblicato un primo racconto, ho visto che funzionava, dalle reazioni del pubblico. Così ho realizzato un secondo racconto, poi un terzo. Alla fine, quando si è trattato di iniziare qualcosa di importante, come una serie, ho puntato su quel personaggio, perché si era già fatto conoscere dal pubblico e aveva molte potenzialità narrative.
A serie iniziata, si rimane su quella perché funziona benissimo, perché hai un sacco di storie da raccontare e perché i lettori la amano. Ma tutto questo non conta, nel momento in cui le storie che devi raccontare finiscono e la serie tende alla sua naturale conclusione. Rat-Man nasce nel 1989, ma inizia a essere pubblicato “professionalmente” nel 1995, come autoproduzione e infine come serie Panini Comics, nel 1997, fino alla sua conclusione, nel settembre 2017. Il personaggio, lungi dall’avere chiuso la sua carriera, appare poi in due volumi sullo spazio, per l’Agenzia Spaziale Italiana e una parodia di Playboy, RATBOY. E non finisce qui.

Qual è il segreto per trovare continuamente nuove idee, rinnovandosi, pur rimanendo fermo sullo stesso soggetto?
Non esiste un segreto, o si hanno tante idee o non si hanno. Può aiutare una naturale curiosità verso tutto.
Immagino che allo stesso tempo, anche lasciare andare un personaggio, mettere un punto alla sua storia, sia un po’ come lasciarsi alle spalle un pezzo della propria vita. Come vivi tu questo “Arrivederci”?
Come dicevo prima, non si saluta mai veramente un personaggio. E’ come con gli amici, sei sempre in contatto con lui e ogni tanto ci si rivede in qualche altra avventura.

Hai qualche consiglio prezioso da dare ai fumettisti emergenti?
Non ho nessun consiglio, ognuno sa già, dentro di sé, quello che deve fare e come farlo. Fare fumetti deve essere innanzitutto un piacere personale, come cucinare o suonare uno strumento. Se poi diventa una professione, meglio, ma non è quello a cui si deve puntare. Quello è solo un bellissimo incidente di percorso.

Durante la quarantena, hai tenuto una specie di diario-fumetto. Una vera e propria striscia quotidiana dove il Covid-19 è una sorta di spalla comica. Come ha funzionato la tua creatività in questo periodo confuso?
Come sempre, meglio di sempre, per via che ho spinto un po’ all’estremo la capacità di creare. Non ho praticamente mai preparato materiale per “coprire” più giorni, come fanno i fumettisti che lavorano a una striscia quotidiana, ma andavo sulla scia di quello che, giorno, per giorno, accadeva. Per questo è un diario vero e proprio.
Credits: Le immagini sono state raccolte dalla pagina Facebook di Leo Ortolani