
Giorgio Alì, in arte Jø, è un giovane cantante e producer milanese. Da sempre ha respirato l’amore per la musica, trasformando ben presto la sua più grande passione in un mestiere. Nella nostra chiacchierata ripercorriamo le tappe della sua carriera, ponendo l’accento sul come la lentezza possa essere declinata nei processi di produzione e composizione di un brano musicale.
1. Ciao Jø, come stai? Come hai vissuto il periodo di quarantena? Pensi che in qualche modo abbia influito sul tuo stato d’animo e sulla tua arte?
Ciao, devo dire che mi sento bene. Il periodo di quarantena è stato particolarmente produttivo. Mi sono reso conto di avere molto più tempo per me, per le mie cose. Ho portato e sto portando avanti diversi progetti; ho avuto modo di scrivere molto, di lavorare ai miei pezzi.
Consciamente, non credo che il lockdown abbia influito sulla mia arte, ma non posso escluderlo a priori. Sicuramente tutto ciò che mi circonda, nel bene e nel male, influisce sul mio modo di comunicare.
2. Mi racconti la tua giornata tipo?
Vivo principalmente la notte; questo mi porta a sacrificare intere mattinate, perché mi sveglio piuttosto tardi. Il resto della giornata ruota intorno agli impegni dello studio (Il suo studio di registrazione si trova al piano terra della sua abitazione, nel milanese, n.d.r.) e alla scrittura dei miei nuovi singoli. In più, mi piace dedicarmi allo sport, è una delle mie “passioni laterali”; ho una piccola palestra in casa e cerco di allenarmi tutti i giorni.
3. Cos’è per te l’ispirazione? Esiste? Come ti ci rapporti?
Sì e no. Ti spiego: credo che la creatività sia come un muscolo e come tale vada allenato, giorno dopo giorno. E proprio come un muscolo, abbiamo una parte che fa parte del nostro “corredo genetico”, una parte ereditaria, diciamo. Si può essere più o meno predisposti, ma anche quella “parte ereditaria” va comunque allenata con costanza, va continuamente sollecitata e stimolata. L’ispirazione per me è consequenziale; una volta che crei il tuo modo di operare è più facile saperla cogliere e sfruttarla al meglio quando arriva.
4. Cosa stimola la tua immaginazione? Da dove prendi le tue idee?
Mi piace pensarmi come una spugna. Non escludo nulla dalla mia formazione, che sia di origine accademica o che provenga da un cartone animato, o da film. Spesso è proprio questo che mi stimola: due argomenti apparentemente lontani che si incrociano e si fondono insieme, creando nuove possibilità di narrazione.
5. Come passi dall’idea “astratta” al “prodotto finale”, al pezzo che decidi di produrre o alla canzone che scrivi e/o componi?
Vorrei poterti parlare di una sorta di magia, ma in realtà, come ti dicevo prima, il segreto è crearsi un solido modo di operare; così, quando generi una nuova idea, è molto più facile portarla avanti, fino alla fase finale.
È comunque un percorso piuttosto lungo; proprio per questo, molti miei pezzi – davvero tanti, a dir la verità (ride) – sono ancora in cassaforte.
6. Come fai a capire quando un’idea è davvero buona, su cui vale la pena lavorare?
È l’istinto che mi guida. Dopo aver agito d’istinto, inizio a fare un po’ di prove, cerco di capire se il pezzo che ho scritto “gira bene”, se funziona. E se mi sembra buono, continuo a lavorarci su, finché non mi ritengo pienamente soddisfatto.
7. Quanto i tuoi processi creativi sono influenzati dall’ambiente circostante, in generale, dalla società in cui viviamo e, più in particolare, dalla città in cui abiti?
Tantissimo. Ogni esperienza, diretta o indiretta, lascia un segno sul mio modo di vedere il mondo. Cerco sempre di escludere la politica dai miei brani, o almeno di nasconderla, non ho mai apprezzato liriche esplicite sull’argomento. La mia città (Milano, n.d.r.) invece, mi influenza maggiormente per il tipo di connessioni artistiche che si creano, per tutte le persone le cui vite si sono incrociate con le vie della musica.
8. Come fai convivere la tua vita quotidiana con il tuo essere artista, produttore musicale, musicista e cantante?
Sinceramente, la mia vita quotidiana è l’essere artista. Mi spiego meglio: da quando mi sveglio – molto tardi, come ti dicevo (ride) –, fino a quando vado a letto penso sempre alla musica. Questo periodo per esempio lo vedo come un investimento sul futuro: per il resto, ci sarà tempo domani.
9. Quanto l’arte, la tua in particolare, ma anche, più in generale, tutti i tipi di arte incidono sulla tua vita personale?
Molto. Il cinema per esempio, di cui sono un grande appassionato, ma anche l’arte figurativa hanno inciso e incidono tuttora sul mio modo di scrivere. Vedo l’arte come un filtro colorato, che ti permette di vedere le cose tramite prospettive sempre nuove.
10. Per te cosa aggiunge l’arte alla vita?
La possibilità di viverne più di una, di vita. Ogni storia, ogni libro, ogni racconto di qualsiasi tipo ti consente di metterti nei panni di persone che magari mai avresti incrociato nella realtà. L’arte ti dà la possibilità impagabile di vivere tutte le vite che vuoi, pur continuando a vivere la tua; è un arricchimento continuo.
11. Hai mai percepito che il tuo lavoro non fosse riconosciuto?
In parte sì, ma non mi piace il vittimismo. Lavoro duro, per far sì che un giorno la mia musica possa arrivare al più alto numero di persone possibile. Sono convinto che, alla fine, la qualità e l’impegno premino sempre.
12. Come gestisci il fallimento?
Sono molto testardo. Mi incazzo, cerco di capire dove ho sbagliato e ci riprovo. Diciamo che ci sbatto la testa finché non ci riesco.
13. Il tema del mese della nostra rivista è “la lentezza”, cosa pensi al riguardo?
La lentezza è la chiave di tutto. Nulla di buono viene creato con la fretta. Purtroppo siamo sempre meno pazienti, costretti in ritmi frenetici da uno stile di vita che ci porta a volere sempre tutto e subito. La lentezza per me è la lente d’ingrandimento sulle piccole cose, quelle che alla fine sono le più belle.
14. Ritieni quindi che la lentezza costituisca un “valore aggiunto” al tuo lavoro di produzione? Intendo dire, concretamente, nel produrre, nel comporre e nello scrivere un pezzo?
Per me è un valore aggiunto sì. La lentezza è carburante per la mente, ti consente di fermarmi e concentrarti sui respiri, sulle piccole cose. Il comporre per me è il fermarsi a guardare le cose, magari anche quotidiane, con occhi nuovi. Se non sai fermarti a cogliere i dettagli non potrai mai fare qualcosa di grande.
15. Cos’è per te la musica?
Difficile dare una risposta che non sia banale. La musica è il mio modo di comunicare, l’arte probabilmente più completa e l’amore più grande della mia vita.
16. Cosa vuoi comunicare quando scrivi e/o componi o quando canti?
Mi piace pensare che le mie canzoni non abbiano una morale finale, ma siano corridoi con porte che si aprono su mille modi interpretativi. Sarà forse per questo che adoro la scrittura ermetica, il simbolismo.
17. È cambiato qualcosa nel tuo processo creativo dal momento in cui hai iniziato a guadagnare con la tua musica?
In piccola parte sì. I soldi sono una gratificazione, che ti spinge ad andare avanti, e che ti permette di investire sul tuo lavoro, dalla strumentazione più professionale, alla pubblicità, alle sponsorizzazioni. Penso però che il processo creativo sia in continua evoluzione, e che i soldi non sia sufficienti per alimentarlo; non sono sicuramente la chiave di volta della creatività.
18. Cos’è per te la vocazione?
È un modo di atteggiarsi di fronte ai problemi, è un fuoco che ti arde dentro, e che ti consente di affrontare anche i momenti più difficili, che arrivano sempre, prima o poi. Si guardi a quello che stiamo fronteggiando ora, tutti quanti.
19. Come e quando hai capito di voler fare il produttore musicale e il cantante? Ritieni che ci sia qualche differenza fra il tuo essere produttore e il tuo essere cantante, nel tuo modo di fare arte?
La mia passione è radicata nella storia della mia famiglia; sono cresciuto in mezzo a musicisti e per me la musica non ha mai rappresentato un’“opzione”, ma un “modo di essere”, il mio modo di essere.
Poi, avvicinandomi al mondo dell’hip-hop – ho anche ballato per diversi anni –, ho scoperto la produzione, che ha cambiato per sempre il mio modo di vedere e di fare le canzoni; il cantare è stata un’azione spontanea, per allargare i miei orizzonti compositivi. Non credo ci sia una grande differenza fra le due cose; cambia il mezzo, ma il fine resta lo stesso.
20. Ritieni ci siano delle differenze sostanziali fra il tuo modo di scrivere e/o comporre da solista e il tuo modo di scrivere e/o comporre per un feat.?
Sì, ci sono delle differenze sostanziali. Il mio processo di scrittura per le mie canzoni di solito nasce da una collaborazione con mio fratello (anche lui musicista, n.d.r.): buttiamo giù le idee e ci divertiamo il più possibile, senza porci dei limiti.
Ci facciamo ispirare da tutto. La scrittura per un feat. è invece costruita su dei limiti, dati dalla collaborazione con altri artisti: mi ritrovo per esempio a dover trattare temi che personalmente magari non avrei trattato. Con questo non voglio dire che questi limiti costituiscano di per sé un fatto necessariamente negativo, anzi, spesso sono benzina per la creatività.
21. Penso per esempio a una delle tue canzoni, Storia storta (in collaborazione con il rapper Mvso, n.d.r.): com’è nata? Come e perché avete deciso di collaborare? Lo avevate già fatto in precedenza?
Mvso è uno dei miei amici più cari, nonché una delle persone che stimo di più. Collaboriamo ormai da tempo, almeno da due anni. All’inizio, producevo solidalmente le sue canzoni; quando poi è arrivata Storia storta il feat. è stato un processo naturale. Non avrei potuto condividere questo pezzo con persona migliore.

22. Quanto dura il processo creativo? Quanto ci metti a comporre un pezzo in sala di registrazione?
Dipende dal periodo e dal mood. Ci sono brani che concludo in meno di una giornata e altri che ho in cantiere da quasi un anno. Non posso farti una stima, ma posso dirti che continuando a comporre con costanza tutto il processo è diventato più facile e veloce; ovviamente non sempre.
23. Nella tua carriera artistica, mi racconti un episodio/una persona che ti ha particolarmente segnato e/o da cui ritieni di aver imparato qualcosa di importante?
Ci sono tante esperienze che dovrei menzionare e tante persone che dovrei ringraziare; se però mi chiedi una persona in particolare, questa è sicuramente mio fratello. Da quando collaboriamo mi ha insegnato a vedere le cose con occhi nuovi. All’inizio, facevo tutto da solo, mi scrivevo i testi e spesso – te lo dico col famoso senno di poi, ovviamente – ero poco attento all’aspetto melodico, al beat.
Da quando collaboro con lui, ho trovato una spalla, un punto di riferimento. Essendo un musicista, mi ha aiutato molto a limare e curare di più alcuni aspetti della composizione di un pezzo, che prima davo troppo per scontato. Ormai siamo interscambiabili, oltre che inseparabili. Per non parlare dell’enorme arricchimento che ha costituito per me da un punto di vista conoscitivo. L’attenzione e l’amore per l’arte figurativa per esempio me l’ha trasmessa lui.
24. Ci sono state delle opere e/o degli artisti in particolare che ti hanno cambiato la tua visione delle cose della vita, e della tua arte, che fanno parte sia del tuo ambito che di altri ambiti artistici?
Nomi particolari no. Sicuramente la cultura americana ha cambiato il mio modo di scrivere e di produrre. Uno su tutti a cui devo molto è 2Pac. Poi, in generale nello scrivere tutto ciò che leggo mi influenza: dai romanzi di Calvino a un articolo di giornale.
25. Dammi cinque regole per essere un “cattivo musicista”.
- Non saper stare a tempo – la peggiore in assoluto.
- Prendersela quando ti criticano.
- Non avere orecchio musicale.
- Essere poco umili.
- Essere poco inclini al cambiamento, essere poco aperti mentalmente.
26. Dammi tre nomi di musicisti nel tuo ambito che secondo te sono da tenere d’occhio.
A questa domanda preferisco non rispondere. Avrei forse troppi nomi da indicarti.