Ci siamo passati tutti da questa domanda: cosa c’è dopo la morte? Tralasciando ogni ideologia e precetto religioso, abbiamo più o meno tutti una risposta, che si differenzia in base a quello che abbiamo sentito in giro, ad una messa o ad un ritiro spirituale. Quello che penso io è sicuramente diverso da quello che pensa qualsiasi altra persona.
Perché in fondo la propria verità è sempre più giusta di quella degli altri. E anche se crediamo nelle stesse cose, nello stesso Dio o non ci crediamo affatto, ognuno di noi ha una sua risposta, diversa da quella degli altri.
Ma c’è una cosa che ci accomuna. Dopo la nostra morte di noi rimane un corpo. E dobbiamo decidere cosa farne quando la vita lo abbandona, dove mettere quelle ossa e quella pelle, come rimanere tra le persone che ancora camminano.
Dobbiamo decidere come vogliamo essere ricordati. E solitamente vogliamo che di noi ci si ricordi il più a lungo possibile.
Ho parlato con Raoul Bretzel – designer fondatore del progetto Capsula Mundi – di morte, ecosostenibilità e boschi sacri.
Napoleone e i cimiteri
Ma da dove nasce la nostra tradizione? Nel 1804 Napoleone emana l’editto di Saint Cloud: i cimiteri devono essere creati fuori dalle mura cittadine, circondati da mura e con tombe tutte uguali. Per evitare le discriminazioni.
Se fino a quell’anno i morti venivano semplicemente seppelliti in un lenzuolo nel terreno, per resistuire il corpo alla terra (da qui la nascita dei fantasmi), da quell’anno furono vietate le sepolture “private”, ad eccezione dei personaggi illustri della società.
Dice Raoul Bretzel:
Il marmo rappresenta l’incorruttibilità del tempo. Questa pietra simboleggia una memoria duratura, abbiamo paura di essere dimenticati. Anche le costruzioni architettoniche nei cimiteri, servono perché vogliamo essere ricordati nel tempo, all’infinito.
Foscolo, in seguito all’editto, scrisse “Dei sepolcri“, carme composto da 295 endecassillabi nel quale critica i nuovi metodi di sepoltura (secondo lui impersonali) che non permettono alle persone di celebrare i morti in maniera degna. Leggiamo i versi 23-40:
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà mutal’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto
con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Foscolo si interrogava quindi su cosa rende più duraturo il ricordo, una pietra fredda, bianca, liscia oppure una sepoltura nel terreno, magari adombrata da un albero?
Le tombe per lui intrappolano i morti: fanno credere alle anime di potersi ancora aggirare nel mondo dei vivi. Le tombe li ingannano: credono di poter ancora camminare su questa terra e non vanno oltre, rimangono per sentire ancora il calore e le voci dei loro cari, ricevere un abbraccio di conforto.
Sono divisi a metà: hanno un corpo inutile che giace nel terreno e un’anima legata da fili invisibili ad una lastra di marmo con inciso il loro nome. Per Foscolo invece è la memoria che li tiene in vita, non servono tombe anonime, basta il ricordo.
E il corpo nel terreno poi diventa sasso, fiore e pianta e va a consolare e portare ombra a quei cari che così intensamente sentono la mancanza di chi se ne è andato.
Raoul aggiunge:
Noi pensiamo che questa separazione tra vivi e morti sia nata con il consumismo: fino a che l’essere umano è utile perché consuma è celebrato nella sua bellezza, spinto a comprare beni per il suo confort, per ringiovanire, per sentirsi bene (dai divani alle creme di bellezza).
Dal momento che non è più utile, non può più consumare, passa dal lato del tabù, di cui si deve parlare il meno possibile perché porta all’opposto del consumo: la morte. Così vita e morte, che per millenni sono state parte di un’unica visione culturale delle società, vengono separate, divise tra il mondo del “detto” e del “non bisogna dire”.
Un albero come bara
Raoul Bretzel e Anna Citelli sono due designers che tra il 2000 e il 2003 sono stati selezionati a partecipare alla sezione giovani del Salone del Mobile di Milano esponendo i loro progetti.

Raoul spiega:
Dopo il terzo anno di presenza, ci siamo interrogati sul ruolo del design nelle nostre vite. Avevamo visto che nelle varie edizioni si riproponevano sempre le stesse cose, gli stessi oggetti. Tavoli, divani, sedie erano solo “rieditati” rispetto all’anno precedente, ma non cambiava fondamentalmente nulla.
Questo comportava da un lato uno spreco di risorse e materiali e dall’altro non ci si voleva spostare dal progettare oggetti per il confort della persona.
Abbiamo deciso quindi di riprogettare oggetti che cambiassero la mentalità delle persone: ci sembrava che dovesse essere questo il ruolo del design. I temi studiati dall’antropologia sono la nascita, il matrimonio e la morte. Quindi abbiamo pensato di dedicarci al tema della morte.
Una scelta coraggiosa quella di cercare di scontrarsi con una tradizione, con una cultura, con un tabù. Raoul aggiunge:
Al Salone del 2003 abbiamo esposto Capsula Mundi per la prima volta. Era un oggetto che attirava l’attenzione: un grande uovo con un albero sopra. Se lo guardi da lontano non capisci bene cosa sia.
Le persone che si avvicinavano ci chiedevano tutte cosa fosse e quando rispondevamo “una bara” come prima reazione si spaventavano, poi quando spiegavamo il progetto erano molto incuriositi e si mettevano a parlare di come loro vedevano la morte, di come secondo loro era trattata in maniera sbagliata.
Abbiamo capito che questo tabù crea un tappo, una compressione di pensieri. Le persone vogliono parlare della morte ma il tema del tabù è diventato una sorta di sasso pesante che preme nelle loro teste per cui non si esprimono.
La nostra pelle diventa corteccia
Come è fatto quindi Capsula Mundi? Come vi è venuta questa idea?
Capsula Mundi è realizzata con materiali biodegradabili. Nel 2003 era appena nata la plastica di amido (che ora usano per i sacchetti) ricavata da piante stagionali, completamente biodegradabile.
Abbiamo pensato all’uovo perché da sempre è simbolo di nascita e rinascita. Nel nostro progetto la morte non è la fine della vita ma l’inizio di un nuovo processo di trasformazione.L’uovo è l’involucro che renderà possibili le trasformazioni ed avrà un formato piccolo, per contenere le ceneri, o grande, per contenere il corpo del defunto, rannicchiato in posizione fetale, anche qui un richiamo simbolico alla rinascita.
L’uovo viene quindi seppellito con un seme nella terra. Sopra di esso viene piantato un albero, scelto in vita dal defunto, e che sarà curato nei primi anni di accrescimento dai suoi amici o dai suoi parenti.
La nostra pelle che diventa corteccia: i vivi non toccherranno più una fredda lapide di marmo ma una pianta, un nuovo essere vivente.
Non abbiamo mai pensato al nostro progetto in termini di “pelle” ma la nostra campagna marketing esprime questo contatto, questa nuova vicinanza. Una persona che abbraccia un albero e dice “Ti voglio bene nonna”; su un’altra immagine si legge “Giovanni quanto sei cresciuto” con un albero inquadrato dal basso verso l’alto; poì c’è una mano che accarezza la corteccia e si legge “Ciao papà”.
Questo mi fa pensare alla pelle: l’abbraccio è un contatto fra pelli, trasmette sensazioni, emozioni, vicinanza. Una carezza.Filippo [il nostro direttore editoriale, che scrive l’editoriale, n.d.r.] dice che la pelle “salvaguarda la nostra vulnerabilità”. La pelle è il filtro che ti protegge dal mondo esterno.
Dalla lapide di marmo, fredda, vai a toccare qualcosa che è ritornato in vita.
È un processo di metamorfosi: il nostro corpo senza vita ritorna a crescere, vivere. La nostra pelle diventa corteccia.
L’albero ci sarà per il tempo della tua durata di vita, è una lapide effimera che durerà un certo numero di anni. Non ti affidi più al concetto di essere ricordato all’infinito ma essere ricordato attraverso un altro essere vivente. Ed è forse il fatto più difficile da far capire nella nostra cultura.
Le leggi in Italia: Boschi Sacri, sì o no?
Mi sono recentemente scontrata con le leggi riguardo alle sepolture. Tralasciando le normative in vigore a causa del COVID, in Italia la legge nazionale impone determinate procedure da seguire. Ogni comune poi può decidere per sè come comportarsi rispetto ai propri morti. Per esempio al Cimitero di Lambrate di Milano, per le sepolture in terra non c’è molta scelta: puoi decorare la tomba con sassi neri, rossi o bianchi e puoi piantare un pino o un ulivo minuscolo.
Ma non puoi farlo da solo: devi per forza affidarti alle agenzie funebri convenzionate con quel cimitero. Non puoi decidere come commemorare e ricordare i tuoi cari. Raoul mi spiega:
In Italia i boschi sacri e Capsula Mundi non si possono utilizzare perché la legge è legata all’impianto di Napoleone per cui le bare vanno messe all’interno di un luogo chiuso da mura.
Fino a che c’era posto si potevano usare bare in legno che si biodegradavano con il tempo però ora che non c’è più spazio nei cimiteri bisogna usare bare zincate, cioè con una seconda bara in zinco all’interno, saldata. Non c’è più nessun contatto tra terreno e processo di degradazione del corpo. O ancora peggio vengono messe in questi loculi alti, lontani dal suolo.Sta cambiando qualcosa sulle ceneri: finalmente hanno assimilato le urne biodegradabili alla dispersione delle ceneri nell’ambiente. Per cui volendo puoi piantare un’urna biodegradabile con l’albero sopra. Questa però è la legge nazionale che ogni comune può adottare in maniera diversa, bisogna sempre informarsi per fare qualcosa.

Non funziona così all’estero dove i cimiteri verdi (green cemeteries) sono parte integrante della cultura dei morti:
All’estero c’è già una tradizione in questo senso, soprattutto nei paesi anglofoni (Sudafrica, Usa, Inghilterra). C’è un rapporto diverso con cimiteri e morte. I cimiteri verdi in Inghilterra sono nati vent’anni fa dove puoi fare una sepoltura sotto alberi esistenti o piantare i tuoi alberi.
Ma le persone cosa ne pensano dei Boschi Sacri?
Tralasciando le leggi, in Italia facciamo fatica ad accettare cose nuove e molto diverse dalla nostra cultura. Ne abbiamo timore. Abbiamo paura che se ci scostiamo leggermente da quello che fa la maggior parte della gente, ci succeda qualcosa di brutto. Temiamo l’esclusione.
Raoul la pensa diversamente:

Non ti parlo ora di religioni o ideologie perché il nostro progetto può essere applicato in qualsiasi religione. Capsula Mundi non è un rito ma un sistema di sepoltura: ebrei, musulmani, buddisti possono fare il rito che appartiene alla loro sensibilità e usare il nostro “uovo” come bara o come urna biodegradabile.
In Italia, dal punto di vista culturale ci sono delle remore e legislativamente delle difficoltà, ma praticamente la totalità delle persone che abbiamo incontrato nelle mostre dove abbiamo presentato Capsula Mundi sono pronte ad affrontare un cambiamento in questa tematica.
La tradizione degli ultimi trent’anni c’è ma le persone vogliono scrollarsi di dosso questo tabù, soprattutto nella direzione –come propone Capsula Mundi- di far cadere il tabù sulla morte e poter tornare liberamente a parlare di uno degli argomenti più naturalmente legati alla vita.
Sono pronte. Siamo pronti.
I cimiteri così come sono fanno abbastanza paura. Noi abbiamo pensato ad un nuovo cimitero, un bosco sacro, un luogo accogliente e vivo dove andare a passeggiare, ritrovare un contatto con un altro mondo, il mondo vegetale complementare al nostro, che è parte del nostro ciclo.
Qual è il tuo albero?
Ho fatto a Raoul questa domanda molto personale: come vorrebbe essere ricordato. Ha deciso di condividere con me il suo albero:
Abbiamo fatto questo gioco tutti quanti noi del team di Capsula Mundi, anche con gli amici. Ognuno di noi ha scelto già il suo albero: il mio è la Jacaranda, che è un albero che si trova anche a Roma, io sono di qui Ha una fioritura viola molto bella. È un albero grande, abbastanza insolito.
Anche io ho una pianta in casa: era di mia nonna. Tutti noi della famiglia ne abbiamo preso un rametto e l’abbiamo piantato in un vaso. Ora lei è un po’ ovunque, nelle case di tutti noi.
Penso a come sarebbe bello avere delle foglie secche, di quelle che metti nei libri e ritrovi dopo anni e poter elencare le persone che hanno dato loro vita. Le appenderei in casa tutte in un angolo insieme, si terrebbero compagnia.
Per quanto riguarda il mio di albero, ancora non l’ho scelto, però mi piacerebbe diventare una bella calla bianca.
Sono molti anni che vi seguo e, prima di morire, vorrei una Capsula Mundi anche per me!